ARS DEMOSTRANDI

Funzioni e didattica di una difficile arte del pensiero.

Convincere, argomentare, dimostrare

Socrate e lo schiavo

Serve ancora l’insegnante?

Come mai si è sviluppata una ricerca sulla dimostrazione?
E’ possibile insegnarla in modo diverso ?
E l’insegnante quale ruolo ha?

La dimostrazione nella ricerca e nella prassi didattica

Da qualche anno fioriscono, in Italia e all’estero, progetti di ricerca didattica che hanno come oggetto di studio l’attività dimostrativa. Curiosamente tutto ciò accade proprio quando nella prassi didattica la dimostrazione assume sempre meno importanza, forse perché ritenuta attività eccessivamente difficile per gli studenti. Tra l’altro il progressivo abbandono dell’attività dimostrativa ha come perversa ricaduta l’eccessivo ridimensionamento della geometria sintetica, visto che, a torto o a ragione, la tradizione affidava alla geometria euclidea il compito di avviare i giovani alla dimostrazione. Attualmente, tranne forse che nelle scuole a carattere liceale, la prassi è quella di sostituire progressivamente la geometria sintetica con quella analitica, Euclide con Cartesio. Ciò che stupisce, però, è il taglio che in genere viene dato alla geometria analitica: del metodo di Cartesio, caratterizzato per la ricerca della dimostrazione mediante analisi (partire dall’oggetto cercato come se già fosse dato per risalire da esso alle ipotesi del problema) e per l’utilizzazione delle nozioni e delle tecniche dell’algebra, che cosa rimane? Sembra che per gli studenti la geometria analitica si caratterizzi unicamente come tecnica efficace a risolvere problemi, a calcolare e, come tale estranea, se non addirittura contrapposta alla dimostrazione, che, invece, caratterizzerebbe la geometria euclidea. Ciò potrebbe dipendere dal fatto che raramente si utilizza la geometria analitica per effettuare dimostrazioni o per cercarle.

Non ci sembra che, nella prassi scolastica, emerga una particolare attenzione alla riflessione sulla dimostrazione come oggetto di studio nei suoi differenti aspetti, sia per quel che riguarda le funzioni (scoprire, convincere, validare, sistemare, precisare la nozione di conseguenza logica fra la proposizione da dimostrare e gli assiomi della teoria...), sia per quel che riguarda i vari aspetti (logici, epistemologici, cognitivi...), sia, infine, per quel che riguarda i contesti d’uso (generalizzazione, spiegazione, comunicazione....).

In sintesi possiamo dire che la situazione attuale è caratterizzata da una crescente attenzione del mondo della ricerca didattica per la dimostrazione come oggetto di studio e da crescenti disaffezione e disinteresse per tale problematica da parte degli insegnanti. In Italia

In questo lavoro ci proponiamo di presentare alcuni aspetti generali della ricerca: In una delle schede di geometria abbiamo invece costruito un esempio di attività in classe.

L ’importanza della dimostrazione nella formazione matematica

Ci sono motivi ben precisi per cui la ricerca didattica sta dimostrando sempre più attenzione alla dimostrazione come oggetto di didattica.

  1. Innanzitutto non si può negare che le abilità di tipo logico-deduttivo, i processi di generalizzazione e il controllo della validità di tali processi attraverso la dimostrazione sono considerate fondamentali nei curricula di matematica di molti paesi, compreso quelli italiani. In secondo luogo, un itinerario fondato sul concetto di dimostrazione è culturalmente stimolante. Come scrive Gabriele Lolli "La dimostrazione è presente ovunque in matematica; ne è la caratteristica essenziale, nel bene e nel male. Non c’è matematica senza dimostrazione. È vero che la matematica non si esaurisce in dimostrazioni e neanche può ridursi a esse la comprensione della matematica. C’è l’euristica per la risoluzione dei problemi, c’è la tecnica di calcolo in senso lato, e c’è l’aspetto della modellizzazione. Ma la dimostrazione segna in genere il passaggio alla matematica vera e propria da una fase propedeutica di acquisizione di abilità e nozioni che si dicono matematiche ma che sono solo il prolungamento della padronanza fisica dell’ambiente esterno e che servono a un controllo più efficiente dello stesso".
  2. In un insegnamento che si proponga di dare un’immagine adeguata dell’attività matematica, di presentare la matematica come una disciplina caratterizzata da una forte identità e unità culturale, la dimostrazione deve giocare un ruolo importante.
  3. Non è da trascurare neppure il fatto che la dimostrazione coinvolge importanti aspetti della vita di classe, quali la necessità di imparare ad argomentare rispettando le regole del gioco; e come dice Evelyn Barbin "la dimostrazione è un atto sociale che si realizza in un microcosmo di interlocutori che condividono una stessa razionalità".
  4. Infine, ma non per ultimo, è possibile fondare sul concetto di dimostrazione itinerari >strategicamente efficaci che consentono di trattare gran parte degli argomenti previsti nei nuovi programmi, ma che, nello stesso tempo, permettano di non tralasciare temi cari alla tradizione, invitando solo ad osservarli da un differente punto di vista. Sotto questo aspetto un percorso fondato sul concetto di dimostrazione potrebbe costituire una sorta di cavallo di Troia nell’insegnamento tradizionale.

Il progetto di ricerca che presentiamo si caratterizza per:

  1. lo studio di ambienti di apprendimento che consentano di preparare il terreno propizio ad affrontare in classe aspetti di carattere storico-epistemologico relativi alla dimostrazione e all’attività del dimostrare. Ciò dovrebbe aiutare a far apprezzare agli studenti il ruolo di una teoria: dal punto di vista epistemologico il ruolo della teoria diventa preminente quando si supera quell’empirismo ingenuo, legato a situazioni di misura o di verifica su casi particolari, che caratterizza l’approccio alla dimostrazione da parte degli studenti;
  2. per quel che riguarda gli aspetti di tipo cognitivo, siamo interessati all’individuazione di ambienti di apprendimento che aiutino gli studenti ad apprezzare far le funzioni della dimostrazione quella dello spiegare all’interno di una teoria. Dal punto di vista cognitivo il ruolo della teoria diventa preminente quando si riesce a passare dalla dimostrazione per convincere alla dimostrazione per spiegare all’interno di una teoria;
  3. siamo inoltre interessati alle dinamiche attraverso le quali gli studenti, ma anche gli esperti, pervengono alla costruzione di una dimostrazione. In particolare ci interessa studiare il ruolo di ambienti che consentano di supportare i principianti nella produzione di dimostrazioni, ambienti che, in altri termini, possano fornire ai principianti strumenti e mezzi di cui in genere dispongono solo gli esperti.
  4. Infine, ma non per ultimo, prestiamo attenzione agli aspetti di carattere sociale, legati all’attività argomentativa e dimostrativa, con particolare attenzione al ruolo delle discussioni matematiche in classe per condividere esperienze e conoscenze fra gli studenti.

In questo articolo ci occupiamo principalmente del passaggio dalla dimostrazione per convincere alla dimostrazione per spiegare all’interno di una teoria.

Le diverse funzioni della dimostrazione

Cerchiamo di comprendere attraverso un esempio famoso la differenza fra la funzione della dimostrazione come ragionamento atto a convincere e la funzione della dimostrazione come mezzo di spiegazione all’interno di una teoria.

Una delle prime testimonianze dirette di una dimostrazione si trova in un dialogo di Platone, il Menone, scritto nel quarto secolo a. C. In questo caso la dimostrazione può essere addirittura confusa con un’argomentazione atta a far scoprire allo schiavo una verità geometrica. Nel dialogo Socrate mostra a Menone come uno schiavo illetterato possa, se opportunamente guidato, giungere a ricostruire una dimostrazione di un risultato matematico e, cioè, che, dato un quadrato ABCD, il quadrato costruito sulla diagonale AC è il doppio di ABCD.

Il dialogo fra Socrate e lo schiavo si gioca tutto su una successione di domande, risposte e suggerimenti che portano alla fine lo schiavo alla risposta corretta. Le domande e i suggerimenti di Socrate hanno lo scopo di arrivare a enunciati che lo schiavo condivide, perché è in grado, grazie all’azione maieutica di Socrate, di ricordare.

Anche nell’attività matematica odierna si conducono alcune dimostrazioni sulla falsariga del dialogo platonico. Vi è però una differenza sostanziale: la dimostrazione di Socrate si basa su nozioni comuni che, però, non vengono esplicitate all’inizio del dialogo. Tali nozioni sono per così dire implicitamente condivise da Socrate, da Menone e dallo schiavo e vengono esplicitate solo nel momento in cui sono necessarie a proseguire nell’argomentazione.

Da Euclide in poi, una dimostrazione è invece eseguita all’interno di una teoria nella quale gli enunciati condivisi sono esplicitati all’inizio dell’attività dimostrativa. E questa è una prima differenza con le argomentazioni, dove gli enunciati condivisi non sempre vengono esplicitati.

Ma vi sono diversi modi di convincere, di giustificare: in Cina e in India, per esempio, si utilizzavano le cosiddette ‘dimostrazioni visive’, che oggi sono tornate in auge con la ‘computer graphic’. Il disegno era considerato sufficiente a spiegare, a giustificare. Se si pensa all’etimologia del termine ‘teorema’, che vuol dire ‘spettacolo’, ‘rappresentazione’, queste diverse forme di dimostrazione di un teorema non sono poi così strane. Le nostre tradizioni culturali ci hanno portato a identificare la dimostrazione con un discorso: la rappresentazione è sul piano del dire, più che del vedere…e, in ogni caso, queste tradizioni hanno subito varie modifiche, tanto è vero che il concetto attuale di dimostrazione (e quindi anche quello di teorema) sono assai diversi da quello che erano per Euclide.

La tradizione euclidea ha dovuto fare i conti con Cartesio e l’argomentazione ha dovuto fare i conti con i calcoli. Ma quanti sono gli studenti che hanno capito che anche in algebra e in geometria analitica si dimostra? Per gli studenti in algebra non c’è alcunché da dire: non si argomenta e, quindi sembra di non dimostrare. I segni del linguaggio algebrico sono nati per essere manipolati; in un certo senso è come se contenessero essi stessi dei pezzi di dimostrazione, è come se dei passi di dimostrazione fossero già incorporati in quei segni. Proprio questa facilità di manipolazione, di trasformazione dei segni del linguaggio algebrico nasconde agli studenti l’attività dimostrativa in algebra. In algebra sembra che non si dimostri perché non c’è niente da dire. I segni sono autosufficienti. E non ci si accorge di dimostrare, anche perché il senso della dimostrazione come calcolo è estraneo allo studente medio. L’aspetto della dimostrazione come calcolo, che pure da Cartesio a Hilbert ha fortemente caratterizzato la nostra tradizione, non viene in genere colto a scuola. Per lo studente i segni del linguaggio algebrico non sono apprezzati come mediatori, come facilitatori dell’attività dimostrativa e proprio questa mancanza di apprezzamento rivela la non comprensione, da parte degli studenti, dell’idea di Cartesio, alla cui geometria, pure, si dedica non poco spazio.

In geometria sintetica è diverso: le figure non consentono facili manipolazioni come le lettere. Per operare su una figura ho bisogno di aiutarmi con il discorso. Devo dire che cosa sto facendo, perché lo voglio e perché lo posso fare.

Si assiste a una sorta di situazione paradossale che può essere così descritta: in geometria la rappresentazione è molto vicina all’oggetto, ma è difficilmente manipolabile, trasformabile e quindi è lontana dallo spiegare il perché l’oggetto rappresentato gode di certe proprietà. In algebra le rappresentazioni sono lontane dall’oggetto, ma sono facilmente manipolabili, trasformabili e quindi sono particolarmente adeguate a esprimere dimostrazioni. Ma si tratta di dimostrazioni che si differenziano fortemente dalle argomentazioni. La rottura, le discontinuità tra argomentazioni e dimostrazioni condotte trasformando i segni di un linguaggio come quello dell’algebra sono fortissime.

Ma non sono solo gli aspetti della dimostrazione legati al calcolo che non vengono colti dagli studenti. Anche la funzione della dimostrazione come conseguenza logica fra assiomi e teoremi di una teoria non viene apprezzata. Per apprezzare questa funzione è necessario aver compreso l’impianto del sistema assiomatico deduttivo.

La logica della mente e la logica della matematica

Il punto decisivo è la nozione di regola inferenziale. In classe durante un’attività dimostrativa esplicitiamo gli assiomi di una teoria ma non sentiamo il bisogno di esplicitare le regole inferenziali utilizzate nelle dimostrazioni in quella teoria. Ebbene una delle cause più forti di discontinuità tra argomentazioni e dimostrazioni sta proprio nel fatto che quando argomentiamo o dimostriamo utilizziamo regole inferenziali fortemente differenti.

Le regole delle argomentazioni non sempre sono in consonanza con le regole inferenziali della logica classica che utilizziamo, più o meno esplicitamente quando dimostriamo, ma, anzi, spesso sono contro di esse. Quando argomentiamo tendiamo ad avvicinarci alle regole della logica con la quale la mente umana interpreta la realtà.

Per esempio dal fatto che Joe è un uccello concludiamo che possa volare, essendo pronti a ritrattare la conclusione se nuove informazioni ci dicono che Joe è uno struzzo o che Joe ha un'ala rotta. Il ragionamento di senso comune non è monotono. Le conclusioni che traiamo in genere sono solo di carattere probabilistico e nuove informazioni possono modificarle sostanzialmente. In genere ragioniamo su esempi tipici e da essi traiamo conseguenze che siamo pronti a ritrattare se scopriamo di trovarci in situazioni atipiche. Questo atteggiamento è necessario per effettuare inferenze in tempi ragionevoli.

Nella logica dimostrativa non è così.

L'inferenza logica utilizzata è monotona, ossia nuove premesse non possono diminuire il numero di conclusioni che si è in grado di fare con un insieme dato di premesse. La verità delle conclusioni risulta invariante per ogni possibile interpretazione.

Gli studenti nei loro ragionamenti, usano regole logiche nello stesso modo in cui funziona la mente umana, ossia il modo in cui interpreta la realtà quotidiana.

Avviene così che il modo di compiere inferenze logiche per convincere di una dimostrazione sia differente da quello per dimostrare all’interno di una teoria.

Altre regole che gli studenti fanno più fatica ad accettare sono quelle dell'introduzione della disgiunzione, perché sono più inclini a dire tutta la verità, come si deve fare in un tribunale, piuttosto che la verità. Per esempio, ben pochi studenti accettano l’inferenza x2 + 1 > 0, quindi x2+1 è maggiore o uguale di 0.

Anche nell’analisi di una proposizione del tipo Ogni numero primo è dispari, gli studenti tendono a dire che la proposizione è vera tranne che per 2. In altri termini, anche quando trovano un controesempio non considerano falsa la proposizione, ma restringono il dominio della stessa. Questo è un atteggiamento pienamente giustificato nell’ambito del comportamento quotidiano e, quindi, nell’ambito del ragionamento di senso comune: sapendo che una determinata situazione vale tranne che in alcuni casi, che ragione c’è di considerarla falsa con la conseguenza (relativamente al senso comune) di rifiutare le informazioni che la stessa proposizione fornisce? Molto meglio precisarne le condizioni di validità.

Un mediatore per il passaggio dalle argomentazioni alle dimostrazioni

E’ possibile individuare una strategia che permetta un passaggio dalle argomentazioni alle dimostrazioni.

È stato osservato che se si impegna lo studente in un’attività che richiede e favorisce la produzione di congetture, nella seguente attività di costruzione della dimostrazione/confutazione delle congetture prodotte, allora lo studente riesce a organizzare questi processi in maniera coerente. In altri termini, gli studenti che hanno un discreto successo nell’attività dimostrativa, sono quelli maggiormente attivi nella produzione di congetture e, soprattutto, nell’esplorazione dinamica degli enunciati da testare. Detto ancora altrimenti: sembra che assegnare agli studenti un compito del tipo ‘dimostra che…’ inibisca le capacità degli studenti a dimostrare. E’ invece opportuno assegnare agli studenti compiti che favoriscano l’esplorazione dinamica degli enunciati e la loro trasformazione.

Partendo da queste considerazioni, abbiamo cercato opportuni mediatori che favorissero questa esplorazione dinamica, che consentissero la costruzione di una continuità cognitiva dalle argomentazioni (accettate dagli studenti) alle dimostrazioni (ostiche per gli studenti).

Abbiamo ipotizzato che un adeguato mediatore per le dimostrazioni in geometria potesse essere il software Cabri.

La funzione di Cabri è duplice: vi è una funzione strumentale, nel senso che sulle figure create da Cabri si può agire, lavorare; esse possono essere manipolate facilmente. Diventano per gli studenti veri e propri oggetti, che, per la loro dinamicità, sono assai più vicini alle figure geometriche, rispetto a quelli del disegno. Quelle di Cabri sono appunto figure e non solo disegni, perché è sempre presente in maniera più o meno esplicita il modo in cui sono state costruite. Le modifiche sulle figure, inoltre, si fanno interagendo con il programma e quindi con la teoria che è ad esso soggiacente. La funzione di trascinamento che possiede il software infatti consente di modificare un disegno appena fatto (per esempio un poligono) trascinandone una parte (un suo vertice), senza mutarne però le proprietà interne (per esempio il parallelismo di due lati). Il disegno iniziale si trasforma in una successione di figure che mantengono inalterate le loro relazioni interne secondo l'algoritmo di costruzione. La potenzialità di questo strumento consiste nell'offrire allo studente la possibilità di scoprire proprietà, invarianti, regolarità, differenze, … che dal semplice disegno su carta non risulterebbero così visibili (a meno di simulare su carta il lavoro di Cabri, disegnando numerosi casi diversi della stessa figura, ma ciò richiederebbe un tempo enormemente più lungo). Un'attività di questo tipo favorisce la scoperta, la congettura, l'argomentazione in misura superiore al classico strumento carta e matita.

Vi è poi una funzione semiotica: le figure di Cabri permettono allo studente di osservare prodotto e processo e, quindi, non solo il lavoro fatto, ma anche quello che si sta facendo e quello ancora da fare. Sempre grazie al trascinamento, lo studente che osserva la figura costruita in Cabri sullo schermo ha a disposizione contemporaneamente il disegno vero e proprio e il risultato dell'algoritmo di costruzione che ha condotto a quel disegno, quindi nuovamente le possibilità offerte dal programma sono molteplici. In primo luogo, l'allievo può controllare la correttezza dell'algoritmo di costruzione applicato: per esempio, se ha disegnato due lati paralleli solo a occhio e non con un comando di parallelismo, trascinando il disegno fatto si accorge dell'errore, perché il parallelismo viene a mancare. Quindi può intervenire sul disegno modificandone l'algoritmo di costruzione. Questo costituisce un punto di forza di Cabri, perché consente all'insegnante di ricuperare quella parte della geometria diventata altrimenti obsoleta: i problemi di costruzione con riga e compasso, che sono un'occasione per riflettere su assiomi e proprietà della geometria di Euclide. In secondo luogo, trascinare per esempio un triangolo per un vertice offre la possibilità allo studente di osservare come si modifica il triangolo, passando attraverso configurazioni particolari come quella di isoscele, o scaleno, o rettangolo, distinguendo tra proprietà che valgono in generale (per qualunque tipo di triangolo, dunque per il triangolo generico), da proprietà che valgono in particolare per certi tipi di triangoli.

Cabri è uno strumento che favorisce sì l'attività di argomentazione legata alla scoperta di una o più congetture, ma anche quella di dimostrazione, perché consente agli allievi di "costruire" davanti allo schermo pezzi di dimostrazione immediatamente in seguito alla produzione di congetture, o di appoggiarsi ad argomentazioni formulate durante un'esplorazione dinamica di una figura.

Ovviamente Cabri non è un dimostratore di teoremi, più semplicemente un mediatore: l'attività di elaborazione e di stesura di una dimostrazione, come concatenazione di proposizioni in conseguenza logica, spetta sempre allo studente, che però può avvalersi di un supporto molto valido.

Il quadro pedagogico di riferimento

Serve ancora l’insegnante o le nuove tecnologie prevedono un indebolimento della sua funzione ? La nostra esperienza ci porta a concludere che il suo ruolo di mediatore si accresce. Infatti l’elemento chiave per la riuscita dell’apprendimento secondo le modalità descritte è senza dubbio l’azione del docente, che regola l’introduzione e l’uso di strumenti didattici non tradizionali e differenziati, come Cabri; il lavoro in piccoli gruppi; le discussioni matematiche in classe; opportuni supporti, come gli schemi di deduzione .

nelle varie sperimentazioni seguite abbiamo osservato che quanto detto da George Polya " prima ci si convince e poi si è pronti e motivati a dimostrare" risulta valido.

Ove l’insegnante è riuscito a creare negli studenti attenzione verso altri sensi della dimostrazione che non siano solo quelli del convincere o del verificare, le attività in ambiente Cabri hanno fatto nascere in loro la necessità, il bisogno intellettuale di capire perché una certa proprietà (della cui verità erano assolutamente convinti) fosse vera. Ciò conferma la nostra convinzione che la sempre maggiore ricchezza di strumenti a disposizione dell’azione didattica non indebolisce, ma rafforza la necessità di una presenza attiva dell’insegnante in classe.

Per concludere possiamo dire che una buona tecnologia, da sola, non garantisce un miglioramento dell’azione didattica: è l’uso che se ne fa, è la progettualità che creano le basi per il successo. In tal senso ogni nuova tecnologia o metodologia non sollevano l’insegnante da compiti o responsabilità, ma, al contrario, lo responsabilizzano maggiormente e lo caricano del compito di fare in modo che le nuove tecnologie, le nuove metodologie diano effettivamente qualcosa in più rispetto a quelle tradizionali.